Autore: Giansalvo Pio Fortunato • 18/10/2025 08:32
La decostruzione è presumibilmente l’atto più complesso che un individuo possa compiere per avanzare. Per decostruzione, sia chiaro, non si intende il semplice mettersi a nudo o lo scandagliare la propria anima (anima: in un’accezione certamente non romantica) ma guardare il proprio scheletro vissuto e, con esso, ciò che mutua quello scheletro: il proprio ingenuo relazionarsi al vissuto e ad al proprio tempo ri-teso e pro-teso.
In Nuda con i vestiti (Graus Edizioni, 2025), Aline Improta persegue un duplice obiettivo: compiere terapeuticamente una metamorfica decostruzione personale e, attraverso la propria vicenda, offrire uno spaccato storico e sociale. In quest’opera prima, infatti, confluiscono la sofferta ricerca di un’identità esatta, essendo stata adottata, e la piaga delle adozioni clandestine in Brasile (suo Paese di origine). Così come confluiscono la lotta per il superamento dello stereotipo estetico (giovane brasiliana bella) e la denuncia dello stallo edonistico in cui versa una comunità arruolata dalla ricezione stereotipata delle identità di ogni persona.
Nata in Brasile e cresciuta a Napoli, Aline Improta ha iniziato a scrivere alla tenera età di nove anni. All’incirca a quell’età risale anche la sua prima pubblicazione: una poesia per bambini sul quotidiano Il Mattino di Napoli. A vent’anni diventa giornalista pubblicista, ma successivamente riversa la sua passione per la scrittura nel mondo del marketing. Dieci anni dopo, decide di ritornare al suo primo amore e inizia la carriera come ghostwriter e redattore di un blog. Nel 2024 vince anche il premio Campania Terra Felix come migliore giornalista campana per la sezione web.
Sempre nel 2024 prende un’importante decisione: dopo aver prestato per anni la sua penna per raccontare le storie degli altri, con delicatezza e profondità è arrivato il momento di raccontare la propria.
Su queste premesse, allora, accogliamo in InItaly Aline Improta e la ringraziamo per aver accolto il nostro invito.
Aline, vorrei partire proprio dalle ultime conclusioni. Nel tuo libro denunci quanto possa arrecare sofferenza la spersonalizzazione e la previsione identitaria che la società culturalmente capitalista ci impone. Eppure, avendo lavorato a contatto con importanti aziende italiane, immagino tu abbia constatato come una vincente campagna pubblicitaria si regga, in particolar modo, sulla capacità capziosa degli stereotipi di attirare immediatamente l’utente. Qual è stata la tua esperienza a riguardo? Perché denunci questa tematica nel tuo libro?
Nel marketing, lo stereotipo funziona. È rapido, riconoscibile, semplifica la comunicazione. Ma nella vita reale, gli stereotipi non raccontano mai la verità — o almeno non tutta. Per tutta la mia vita ho portato addosso lo stereotipo della “donna latina”: attraente, esuberante e… connotazioni negative! Per molti, quell’immagine escludeva automaticamente l’idea che potessi essere anche una professionista seria, competente, preparata.
Ho dovuto lavorare il doppio per far capire che dietro l’apparenza c’è sostanza, che dietro un sorriso c’è anche studio, impegno, dedizione.
Per anni, ho subito i pregiudizi di uomini e di donne che mi guardavano attraverso il filtro del mio aspetto fisico ricevendo spesso domande e valutazioni superficiali che ignoravano completamente la mia preparazione.
Racconto, a titolo esemplificativo, un esempio. Una volta, dopo aver terminato un colloquio di lavoro per un’importante azienda, il responsabile del settore risorse umane che aveva condotto il colloquio, dopo aver ben figurato per le mia preparazione, la mia intraprendenza, la mia intelligenza, fece un commento che mi lasciò senza parole: “Non pensavo che una ragazza così bella potesse anche essere così intelligente!”. Sono stata io, poi, a rifiutare quell’importante opportunità lavorativa, amareggiata da queste convinzioni stereotipate e da questo bigottismo culturale.
Oggi credo che il vero successo non sia nel rispecchiare uno stereotipo, ma nel romperlo. Nel dimostrare, ogni giorno, che si può essere molte cose insieme: femminile e autorevole, forte e vulnerabile, divertente e professionale.

Alla luce del tuo lavoro di indagine e decostruzione, come analizzi la complessa relazione con Napoli e col Brasile? È per te un orgoglio appartenere a due mondi tanto diversi e, pari merito, tanto simili?
Mi sento 99% brasiliana e 101% napoletana. Napoli e il Brasile sono luoghi spesso raccontati, generalizzando, per le loro ombre, le loro difficoltà, le loro contraddizioni. Questa, tuttavia, è solo una piccola parte della storia. Il resto è luce, musica, abbracci e sorrisi veri. Sono luoghi che ti entrano nel cuore e che, almeno una volta nella vita, vanno vissuti sulla pelle.
Il Brasile è un paradosso che respira.
È bellezza che ti toglie il fiato e allo stesso tempo ti ricorda che devi sempre stare all’erta. È un luogo dove il verde è così vivo da sembrarti irreale, e dove la musica ti entra nell’anima prima ancora che nelle orecchie. Ma è anche un Paese che ti insegna a non dare mai nulla per scontato. Mio fratello, prima che ci conoscessimo da vicino, un giorno mi ha detto: “Noi non siamo latino-americani, noi siamo brasiliani: è un’altra cosa!”. Quelle parole mi hanno ricordato Sophia Loren, quando disse la stessa cosa parlando di Napoli.
Mi sento profondamente fortunata nell’essere cresciuta qui. Queste due realtà vivono in me e fanno di me un’anima del sud. Per me, Napoli è come una mamma.
Puoi allontanarti, puoi anche provare a vivere altrove, ma dentro di te senti sempre la sua voce, il suo profumo, il suo richiamo. È un legame che non si spezza, una nostalgia che ti accompagna ovunque, proprio come la saudade del Brasile.

In un’intervista, ti definisci un’artista di parole. Affermazione, questa, supportata anche dai lunghi percorsi di specializzazione personali, che ti hanno condotta fino a questo punto. Qual è, dunque, la differenza tra uno scrittore/scrittrice (autentico artista di parole) ed un amatore/amatrice? Ma soprattutto esiste, a tuo parere, questa differenza?
Mi piace molto definirmi un’artista di parole. Quest’espressione, infatti, chiarisce un elemento per me fondamentale: non è importante solo cosa fai. È importante, piuttosto, come fai ciò che fai. Io sento ciò che scrivo. Non a caso utilizzo il verbo sentire. Le parole sono come i colori per un pittore che dipinge un volto. L’espressione, il porre per iscritto, non sono assolutamente casuali: le parole vanno ben calibrate, vanno ben dosate nel loro contesto, vanno comprese ed amalgamate coerentemente.
La parola crea la realtà. Ogni volta che diamo il nome ad una cosa stiamo dando una chiave di lettura. La capacità di usare le parole con consapevolezza, coglierne le sfumature e l’influenza, è la chiave per attivare, disegnare una realtà o un nuovo futuro perché hanno un potenziale trasformativo straordinario.
L’esperienza di ghostwriter mi ha aperto mondi di comprensione ed espressione davvero molto profondi sull’argomento. Un bravo ghostwriter non si limita a scrivere qualcosa per qualcuno, ma indaga attentamente la persona per la quale scrive affinché questa scrittura possa rendere esattamente il ritratto della sua personalità e del suo stile comunicativo.
Mi rendo conto, che oggi manchi la conoscenza esatta dell’italiano. Una conoscenza – sia chiaro – che non è meramente sintattica. È, piuttosto, di senso e di significato. Le difficoltà comunicative di oggi passano proprio per un’ignoranza terminologica e dei veri significati. Una parola usata male o erroneamente interpretata può essere l’origine di errori e ferite della nostra vita.
Prima di salutarci: un messaggio per le nuove generazioni…
Mi rendo sempre più conto che i giovani sono afflitti dalla terribile malattia dell’individualismo. Una malattia che li spinge ad isolarsi nel mondo digitale, inibendo qualsiasi contatto umano, qualsiasi inter-scambio viva voce, qualsiasi impeto al raccontarsi semplicemente. Si sceglie, per esempio, di uscire con gli amici solo per stare al telefono o, addirittura, si sceglie di non uscire. E al telefono cosa si fa? Si sperimenta una vita parallela nella quale contano le sole apparenze, eliminando qualsiasi identità personale. Purtroppo abbiamo contributo noi adulti, in primis, a creare un modello negativo, che si è poi ripercosso sui più giovani, che non hanno saputo arginarlo.
È anche per questo che ho scritto Nuda con i vestiti. Ogni processo di introspezione significa, appunto, intraprendere un viaggio interiore nel quale il lavorare su se stessi è pratica di vita quotidiana. Significa anche mettersi pubblicamente in gioco, divenendo un esempio per ciascun lettore.

Dopo questa intensa testimonianza, ringraziamo sentitamente Aline Improta e ricordiamo che Nuda con i vestiti è acquistabile al sito della casa editrice e a breve, nelle migliori librerie e su tutte le piattaforme online inclusa Amazon.
Il libro ha tenuto, inoltre, suo battesimo, ieri (5 ottobre), presso il Campania Libri Festival.
Rivista online registrata al Tribunale di Napoli n. 43 del 23/03/2022
Direttore: Lorenzo Crea
Editore: Visio Adv di Alessandro Scarfiglieri
Insight italia srl (concessionario esclusivo)
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