Autore: Redazione • 30/09/2025 20:15
Il nome stesso è una promessa inquietante. Tana che Urla: tre parole che evocano echi ancestrali, voci di pietra, segreti sepolti nel buio. E quando finalmente ti trovi davanti all'ingresso di questa grotta monumentale nell'entroterra di Finale Ligure, capisci che il nome non mente. Il vento che si insinua tra le sale immense produce un suono – un gemito sordo e continuo, quasi umano – che ti fa correre un brivido lungo la schiena.
L'imbocco si apre nella parete calcarea come una bocca spalancata nel fianco della montagna. È ampio, imponente, bordato da stalattiti rossastre che pendono come denti di un leviatano addormentato. Varchi la soglia e immediatamente la temperatura precipita. L'aria diventa densa e umida, carica di quell'odore particolare che appartiene solo alle profondità terrestri: terra antica, pietra bagnata, tempo solidificato. C'è un retrogusto ferroso, quasi metallico, portato dai minerali che percolano da decine di metri di roccia sovrastante.
I primi passi risuonano in modo innaturale. Ogni rumore – il fruscio della giacca, il respiro affannato, lo scricchiolio di un sasso sotto lo scarpone – si amplifica e si moltiplica, rimbalzando tra pareti colossali che si perdono nell'oscurità sopra la tua testa. Le sale sono gigantesche, veri e propri auditorium sotterranei dove la natura ha lavorato per millenni con una pazienza che l'essere umano non può nemmeno concepire.
Alzare la torcia verso l'alto significa scoprire architetture impossibili: volta su volta, cupole naturali, stalattiti enormi che sembrano candele colate di un dio gigante. Alcune sono bianche lattee, altre ambrate come miele antico, altre ancora grigie e striate come marmo venato. La luce della lampada le fa brillare di riflessi madreperlacei, creando bagliori che sembrano muoversi, vivi, pulsanti nell'oscurità circostante.
Ma è camminando sul pavimento della grotta che percepisci la sua storia drammatica. Ovunque massi ciclopici, blocchi di pietra grandi come automobili, testimonianza di crolli antichissimi che hanno rimodellato gli spazi interni. Queste macerie titaniche creano un paesaggio lunare, un labirinto di pietra dove devi arrampicarti, scivolare, infilarti in passaggi stretti tra rocce in equilibrio precario. C'è qualcosa di profondamente emozionante nell'attraversare questi canyon interni, sapendo che stai camminando su rocce cadute quando l'uomo cacciava ancora mammut.
Perché la Tana che Urla è stata dimora di esseri umani preistorici. Qui, decine di migliaia di anni fa, i nostri antenati cercavano riparo dal freddo glaciale, accendevano fuochi le cui tracce di carbone sono state ritrovate sepolte sotto strati di sedimenti. Camminare dove loro camminavano, toccare le stesse pareti che le loro mani hanno sfiorato, respirare la stessa aria umida e minerale – anche se filtrata da millenni – crea una connessione atavica che ti riporta alle radici più profonde dell'umanità.
Le concrezioni calcaree creano forme fantasmagoriche: colonne che sembrano organi di cattedrali, stalattiti a grappolo come racemi d'uva pietrificata, colate alabastrine che scendono lungo le pareti formando drappeggi impossibili. Quando la luce le colpisce obliquamente, si accendono di trasparenze ambrate, rivelando venature interne, stratificazioni che raccontano millenni di gocce pazienti. Il pavimento in alcuni punti è coperto da stalagmiti tozze, simili a funghi di calcite che emergono dal suolo come una foresta pietrificata.
Il silenzio qui ha una qualità particolare: non è assenza di suoni, ma una presenza tangibile, quasi solida. È interrotto solo dal plop ritmico delle gocce che cadono da altezze invisibili, marcando il tempo con la cadenza ipnotica di un metronomo geologico. Ogni goccia porta con sé molecole di calcio, infinitesimi granelli che si depositeranno aggiungendo un atomo alla crescita millenaria delle concrezioni. Assistere a questo lavoro infinitesimo e infinito ti fa sentire testimone di un processo che ti precede e ti sopravviverà di ere geologiche.
Nelle sale più profonde, dove la luce naturale è un ricordo lontano, l'oscurità è assoluta e vellutata. Se spegni la torcia – un attimo di coraggio necessario per comprendere davvero questo luogo – vieni inghiottito da un buio talmente denso che sembra avere peso. È il nero primordiale, quello che esisteva prima della luce, quello in cui i nostri antenati si addormentavano tremando di freddo e paura. In quel buio totale i sensi si affinano: senti il battito del tuo cuore amplificato, percepisci il movimento dell'aria fredda sulla pelle, distingui sfumature di odori che prima ti sfuggivano.
Il sistema carsico del finalese, di cui la Tana che Urla è gioiello prezioso, è un labirinto sotterraneo sconfinato: chilometri di gallerie, pozzi, sale, cunicoli che si intrecciano sotto le colline liguri come vene in un corpo di pietra. Gli speleologi continuano a esplorare, a mappare, a scoprire nuove diramazioni. Ogni grotta è un mondo a sé, con microclima particolare, fauna specializzata (pipistrelli che dormono appesi alle volte, coleotteri ciechi, ragni albini), formazioni uniche. Ma la Tana che Urla, con le sue dimensioni maestose e la sua storia millenaria, resta una delle più suggestive e accessibili.
Uscire dalla grotta è come rinascere. La luce del giorno, anche filtrata dalla vegetazione mediterranea che copre l'ingresso, sembra abbagliante dopo il buio delle sale interne. Gli occhi devono riadattarsi, la pelle accoglie con gratitudine il calore del sole ligure, i polmoni si riempiono di aria che sa di timo selvatico, rosmarino, salsedine portata dalla brezza marina. Ma dentro, nel petto, resta quella sensazione profonda: hai toccato la memoria geologica del pianeta, hai camminato dove l'umanità muoveva i suoi primi passi tremanti, hai visto cosa significa bellezza sotterranea, quella nascosta, segreta, riservata a chi ha il coraggio di scendere nel ventre oscuro della terra.
Come arrivare: Da Finale Ligure si seguono le indicazioni per Finalborgo, poi si prosegue verso la località Montesordo. La Tana che Urla si raggiunge con una breve escursione su sentiero segnalato (circa 30 minuti dal parcheggio più vicino). IMPORTANTE: la visita richiede equipaggiamento speleologico di base (torce frontali potenti, scarpe adeguate, abbigliamento che si può sporcare) ed è consigliata solo con guida esperta. Il terreno interno è accidentato con passaggi su rocce instabili. Assolutamente vietato l'accesso in caso di maltempo per rischio allagamento. Informazioni presso il CAI di Finale Ligure o guide speleologiche locali.
Photo credits: Andrea massagli - licensed under the Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license.
Rivista online registrata al Tribunale di Napoli n. 43 del 23/03/2022
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