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Libertà e partecipazione, riscopriamo l'importanza di esserci

Autore: Redazione 25/11/2025 16:57

Nelle ultime settimane più di 22 milioni di italiani sono stati chiamati alle urne per eleggere i Presidenti di Regione nelle Marche, in Calabria, in Toscana, in Puglia, in Veneto e in Campania.

Un test importante non solo per i partiti di maggioranza e opposizione ma anche per verificare lo “stato di salute” della nostra democrazia.

Purtroppo i dati dell’affluenza in tutte queste regioni sono tutti in forte calo non arrivando praticamente mai al 50% degli aventi diritto. Significa che in termini assoluti, i Presidenti eletti sono eletti da una minoranza dei cittadini.

Si tratta di una tendenza che va avanti da anni e che riguarda tanto le elezioni locali che quelle nazionali ed europee. È anche un fenomeno sovranazionale ma in Italia la crisi di partecipazione è più marcata e dovrebbe indurre ad aprire una serissima riflessione.

Un antico adagio sosteneva che se non ti occupi di politica, la politica comunque si occuperà di te e non sempre questo è un bene. Tuttavia è sotto gli occhi di tutti il fatto che la disaffezione ha raggiunto livelli da preoccupanti.

La politica, e talvolta la stessa democrazia come forma di Governo, viene vista come qualcosa di inutile se non dannosa. Come intralcio allo sviluppo e al benessere dei cittadini, come strumento di mera promozione personale.

Secondo la stragrande maggioranza degli italiani i “politici” e (ciò che resta) dei “partiti” sono preoccupati di tutto fuorché del bene comune. Inadatti a risolvere e ad affrontare i tanti problemi concreti che preoccupano il paese. Dal caro spesa, alle bollette, al lavoro, alle tasse, al diritto al salute.

Tutto questo ha comportato uno scollamento progressivo fra rappresentanti e rappresentati. Non un bene per la qualità stessa della rappresentanza.

Ma, e qui c’è la mia riflessione, se astenersi è comunque un diritto, chi si astiene dovrebbe interrogarsi sulle conseguenze della sua scelta.

Intanto delegare agli altri non è sempre un bene, ma soprattutto se rinunci a partecipare attivamente alla vita democratica non è poi accettabile sparare sentenze seduti comodamente sul divano o davanti a una tastiera.

La cosa pubblica va custodita e curata con abnegazione soprattutto in tempi di crisi della politica come quelli che stiamo vivendo e vedendo. Chiamarsene fuori, mettersi sul piedistallo criticando tutto e tutti non può essere una soluzione.

D’altra parte è indubbio che per portare la gente a votare, per motivarla, per coinvolgerla c’è bisogno non soltanto di una nuova offerta politica ma di figure in grado di “trascinare” gli elettori e convincerli alla partecipazione attiva. Guardate l’esempio di New York dove l’affluenza, già mediamente alta in questi anni, ha raggiunto picchi record grazie al “ciclone” Mamdani un ragazzo di 34 anni che ha stravolto ogni pronostico partendo dall’1% dei primi sondaggi e vincendo a valanga nel municipio più importante del mondo.

Ci è riuscito mobilitando ed entusiasmando giovani e giovanissimi, minoranze varie e convincendo una parte consistente di elettorato “dormiente” che ha dato fiducia a una proposta politicamente radicale e di oggettivo rinnovamento.

Questo per dire che non tutto è perduto. Forse la democrazia non starà benissimo ma la “peggior” democrazia è sempre e di gran lunga migliore di ogni dittatura.

C’è bisogno di uno sforzo collettivo: alla politica si chiede di rinnovare la rappresentanza e di aprire porte e finestre per consentire una vera e non formale partecipazione, e noi dobbiamo riscoprire l’importanza del diritto di voto e del diritto che abbiamo di contare.

Del resto, si sa, chi è assente ha sempre torto. Muoviamoci.

a cura del direttore Lorenzo Crea

Photo credits: EUNEWS

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